Tom Joad
2004-07-05 09:30:41 UTC
Quando avevo pochi anni sentii raccontare la storia del ponte dell'Anchetta;
non ci ho più pensato fino all'altro ieri quando, ripulendo una libreria a
casa di mia nonna (che da poco si è trasferita altrove insieme al suo
coinquilino, un tedesco antipatico e taciturno di nome Alzheimer) è saltato
fuori, nientemeno, che lo stesso numero di Selezione dal Reader's Digest da
cui è tratto questo articolo, che ho trovato su www.eticadegliaffari.it. A
casa dovrei avere altro materiale su Guido Bartoloni e sul suo ponte; lo
posterò appena possibile.
Da quanto ho potuto sapere, il ponte di Guido resse fino all'alluvione del
1966. C'era un pedaggio, e ci si passava con un veicolo alla volta.
-----
In un paesino vicino a Firenze, viveva un barcaiolo di nome Guido che,
stanco di remare con il suo traghetto sull'Arno, decise di costruirvi un
ponte.
L'idea era alquanto ardua poiché in quel tratto il fiume era largo un
centinaio di metri e il barcaiolo non ne sapeva nulla di come si costruisce
un ponte.
Fin da quando era bambino, Guido aveva sognato quel ponte. La sua barca a
remi gli era stata lasciata dal padre che aveva fatto il barcaiolo prima di
lui. Il lavoro era però faticoso e il guadagno misero. Guido aveva
combattuto anche nelle due guerre mondiali ed aveva imparato tante cose,
specie il coraggio e la determinazione. Ora che non era più giovane,
cominciava a sentire profondamente il bisogno di lasciare dietro di sè
qualcosa di utile alle future generazioni.
Così, poco dopo l'ultima guerra, pensò che era venuto il momento di
costruire quel ponte che aveva tanto sognato, come quello su cui aveva visto
all'opera i genieri dell'esercito americano.
Se ne stava seduto alla finestra sul fiume, o nella barca, a meditare;
spesso non riusciva a dormire, si alzava di notte e si metteva a scrutare il
paesetto sull'altra sponda.
Sicché, un giorno, si recò a Firenze da un ingegnere civile, gli espose il
suo progetto e gli chiese quanto avrebbe voluto per costruire il ponte.
L'ingegnere fece un po' di conti e disse: "Dieci milioni". Tutto quel che
Guido possedeva erano 500.000 lire. L'unico modo di avere il ponte, si
disse, era di costruirselo da sè.
Per far questo occorreva un'autorizzazione. Guido tracciò a matita uno
schizzo del ponte che aveva in mente e lo presentò all'ufficio del Genio
Civile. Il disegno passò da una mano all'altra e suscitò molte risate.
L'avrebbero gettato nel cestino della carta straccia, se Guido non fosse
stato lì, tanto serio e convinto. A titolo di scherzo, gli dettero
l'autorizzazione.
Ai primi di marzo del 1947, Guido cominciò a scavare. Scavò due buche
profonde tre metri e larghe quattro in cui collocare i pali di ferro per
ancorare i cavi. Si recò a Firenze in bicicletta; andò in giro per i
depositi dei ferri vecchi dove c'erano alte cataste di rottami di guerra e
trovò i pali di ferro che gli servivano. Se li portò a casa su un carrettino
a mano e li collocò nelle buche.
In seguito, si recò a Firenze due volte la settimana tornandosene con ferri,
bulloni, chiodi e cemento. Una sera tardi, nel tornare a casa stanco morto,
cadde in una delle buche e si ruppe due costole. Il medico gli ordinò di
rimanere immobile per un mese, ma Guido non volle interrompere il lavoro.
I paesani che venivano a guardarlo mentre lavorava, erano tutti d'accordo
nel giudicarlo un pazzo. Ma Guido era troppo assorto nel proprio lavoro per
darsi pensiero delle beffe e delle critiche. Scavò altre due buche per
blocchi portapiloni sull'altra sponda del fiume.
Da un rivenditore di ferri usati trovò i pezzi d'acciaio per i quattro
piloni e per le longarine necessari all'armatura del ponte. Una teleferica,
distrutta durante la guerra, gli fornì i cavi. Agganciato un cavo a un
pilone, portò sull'altra sponda, con la barca, l'altra estremità del cavo
lungo e pesante e lo tese con l'aiuto di un piccolo paranco. Fece lo stesso
con altri nove cavi.
Tese da pilone a pilone un filo d'acciaio leggero e robusto, vi fisso una
puleggia e si appese a quest'ultima con una cinghia stretta intorno alla
vita. Sospeso nel vuoto, lavorò procedendo lungo il filo finché tutti i cavi
furono in posizione. Per poter continuare vendette i pochi ninnoli della
moglie, il suo cappotto,i polli e perfino i mobili.Anche la piccola somma
che aveva ricevuto dal Governo per i danni che una bomba gli aveva arrecato
alla casa, fu spesa per il ponte. A quel punto la moglie andò dal prete per
chiedergli se era il caso di far ricoverare Guido in manicomio. Il vecchio
prete sorrise e la esortò ad aver fiducia nel marito.
Passò un anno. La giornata di lavoro si allungò per Guido a 14 ore e perfino
a 18. Dimagrì di dieci chili. Dal suo sostegno sospeso nel vuoto, impavido,
fissò le traverse metro per metro, finché s'incontrarono. Ora era pronto per
la parte in legno. Questo era materiale costoso e Guido era al verde.
Cominciò a firmare cambiali, offrendo la sua casa come garanzia. La moglie
era disperata, ma il ponte non era più un parto della fantasia; quello
scheletro d'acciaio era una realtà. Aveva ancorato quattro piloni pesanti
una tonnellata ciascuno; aveva teso i cavi lunghi 125 metri e fissato le
traverse; aveva fatto a mano 50.000 fori per i bulloni e con il carretto a
mano aveva trasportato da Firenze, distante otto chilometri, ogni chilo
delle 40 tonnellate d'acciaio.
Così, pareggiò le tavole con l'accetta del padre, le collocò una per una e
infine le coprì d'asfalto. Il suo nipotino di quattro anni fu il primo ad
attraversare il ponte. L'opera era compiuta: un arco d'acciaio sull'acqua,
solido, elegante, bellissimo.
Il 10 luglio 1949 fu teso un nastro al centro del ponte e, mentre il prete
benediceva la nuova opera, i sindaci dei due paesi ora uniti, s'incontrarono
e tagliarono insieme il nastro, inaugurando il ponte ufficialmente. La banda
suonò gli inni, si tennero discorsi, mentre i concittadini, orgogliosi,
festeggiavano e dicevano che era l'unico ponte sospeso del mondo costruito
da un uomo solo.
Sul muro della casa di Guido fu posta una lapide con scritto: " Nella
speranza che l'ingegno, la volontà e il senso di civismo del cittadino Guido
Bartoloni, creatore ed unico costruttore del ponte, possano esser di
ispirazione alle generazioni venture, i concittadini incisero e posero ".
Guido, intanto, pagati tutti i suoi debiti, con la costruzione del ponte
guadagnò soddisfazioni e benessere ma soprattutto tanta felicità al pensiero
di lasciare dietro di sè un'opera con il suo nome, utile alle generazioni
future.
(tratto da: " Un ponte sull'Arno fatto da un uomo solo " di M.Chiappelli e
G.Kent - Selezione
dal Reader's Digest)
non ci ho più pensato fino all'altro ieri quando, ripulendo una libreria a
casa di mia nonna (che da poco si è trasferita altrove insieme al suo
coinquilino, un tedesco antipatico e taciturno di nome Alzheimer) è saltato
fuori, nientemeno, che lo stesso numero di Selezione dal Reader's Digest da
cui è tratto questo articolo, che ho trovato su www.eticadegliaffari.it. A
casa dovrei avere altro materiale su Guido Bartoloni e sul suo ponte; lo
posterò appena possibile.
Da quanto ho potuto sapere, il ponte di Guido resse fino all'alluvione del
1966. C'era un pedaggio, e ci si passava con un veicolo alla volta.
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In un paesino vicino a Firenze, viveva un barcaiolo di nome Guido che,
stanco di remare con il suo traghetto sull'Arno, decise di costruirvi un
ponte.
L'idea era alquanto ardua poiché in quel tratto il fiume era largo un
centinaio di metri e il barcaiolo non ne sapeva nulla di come si costruisce
un ponte.
Fin da quando era bambino, Guido aveva sognato quel ponte. La sua barca a
remi gli era stata lasciata dal padre che aveva fatto il barcaiolo prima di
lui. Il lavoro era però faticoso e il guadagno misero. Guido aveva
combattuto anche nelle due guerre mondiali ed aveva imparato tante cose,
specie il coraggio e la determinazione. Ora che non era più giovane,
cominciava a sentire profondamente il bisogno di lasciare dietro di sè
qualcosa di utile alle future generazioni.
Così, poco dopo l'ultima guerra, pensò che era venuto il momento di
costruire quel ponte che aveva tanto sognato, come quello su cui aveva visto
all'opera i genieri dell'esercito americano.
Se ne stava seduto alla finestra sul fiume, o nella barca, a meditare;
spesso non riusciva a dormire, si alzava di notte e si metteva a scrutare il
paesetto sull'altra sponda.
Sicché, un giorno, si recò a Firenze da un ingegnere civile, gli espose il
suo progetto e gli chiese quanto avrebbe voluto per costruire il ponte.
L'ingegnere fece un po' di conti e disse: "Dieci milioni". Tutto quel che
Guido possedeva erano 500.000 lire. L'unico modo di avere il ponte, si
disse, era di costruirselo da sè.
Per far questo occorreva un'autorizzazione. Guido tracciò a matita uno
schizzo del ponte che aveva in mente e lo presentò all'ufficio del Genio
Civile. Il disegno passò da una mano all'altra e suscitò molte risate.
L'avrebbero gettato nel cestino della carta straccia, se Guido non fosse
stato lì, tanto serio e convinto. A titolo di scherzo, gli dettero
l'autorizzazione.
Ai primi di marzo del 1947, Guido cominciò a scavare. Scavò due buche
profonde tre metri e larghe quattro in cui collocare i pali di ferro per
ancorare i cavi. Si recò a Firenze in bicicletta; andò in giro per i
depositi dei ferri vecchi dove c'erano alte cataste di rottami di guerra e
trovò i pali di ferro che gli servivano. Se li portò a casa su un carrettino
a mano e li collocò nelle buche.
In seguito, si recò a Firenze due volte la settimana tornandosene con ferri,
bulloni, chiodi e cemento. Una sera tardi, nel tornare a casa stanco morto,
cadde in una delle buche e si ruppe due costole. Il medico gli ordinò di
rimanere immobile per un mese, ma Guido non volle interrompere il lavoro.
I paesani che venivano a guardarlo mentre lavorava, erano tutti d'accordo
nel giudicarlo un pazzo. Ma Guido era troppo assorto nel proprio lavoro per
darsi pensiero delle beffe e delle critiche. Scavò altre due buche per
blocchi portapiloni sull'altra sponda del fiume.
Da un rivenditore di ferri usati trovò i pezzi d'acciaio per i quattro
piloni e per le longarine necessari all'armatura del ponte. Una teleferica,
distrutta durante la guerra, gli fornì i cavi. Agganciato un cavo a un
pilone, portò sull'altra sponda, con la barca, l'altra estremità del cavo
lungo e pesante e lo tese con l'aiuto di un piccolo paranco. Fece lo stesso
con altri nove cavi.
Tese da pilone a pilone un filo d'acciaio leggero e robusto, vi fisso una
puleggia e si appese a quest'ultima con una cinghia stretta intorno alla
vita. Sospeso nel vuoto, lavorò procedendo lungo il filo finché tutti i cavi
furono in posizione. Per poter continuare vendette i pochi ninnoli della
moglie, il suo cappotto,i polli e perfino i mobili.Anche la piccola somma
che aveva ricevuto dal Governo per i danni che una bomba gli aveva arrecato
alla casa, fu spesa per il ponte. A quel punto la moglie andò dal prete per
chiedergli se era il caso di far ricoverare Guido in manicomio. Il vecchio
prete sorrise e la esortò ad aver fiducia nel marito.
Passò un anno. La giornata di lavoro si allungò per Guido a 14 ore e perfino
a 18. Dimagrì di dieci chili. Dal suo sostegno sospeso nel vuoto, impavido,
fissò le traverse metro per metro, finché s'incontrarono. Ora era pronto per
la parte in legno. Questo era materiale costoso e Guido era al verde.
Cominciò a firmare cambiali, offrendo la sua casa come garanzia. La moglie
era disperata, ma il ponte non era più un parto della fantasia; quello
scheletro d'acciaio era una realtà. Aveva ancorato quattro piloni pesanti
una tonnellata ciascuno; aveva teso i cavi lunghi 125 metri e fissato le
traverse; aveva fatto a mano 50.000 fori per i bulloni e con il carretto a
mano aveva trasportato da Firenze, distante otto chilometri, ogni chilo
delle 40 tonnellate d'acciaio.
Così, pareggiò le tavole con l'accetta del padre, le collocò una per una e
infine le coprì d'asfalto. Il suo nipotino di quattro anni fu il primo ad
attraversare il ponte. L'opera era compiuta: un arco d'acciaio sull'acqua,
solido, elegante, bellissimo.
Il 10 luglio 1949 fu teso un nastro al centro del ponte e, mentre il prete
benediceva la nuova opera, i sindaci dei due paesi ora uniti, s'incontrarono
e tagliarono insieme il nastro, inaugurando il ponte ufficialmente. La banda
suonò gli inni, si tennero discorsi, mentre i concittadini, orgogliosi,
festeggiavano e dicevano che era l'unico ponte sospeso del mondo costruito
da un uomo solo.
Sul muro della casa di Guido fu posta una lapide con scritto: " Nella
speranza che l'ingegno, la volontà e il senso di civismo del cittadino Guido
Bartoloni, creatore ed unico costruttore del ponte, possano esser di
ispirazione alle generazioni venture, i concittadini incisero e posero ".
Guido, intanto, pagati tutti i suoi debiti, con la costruzione del ponte
guadagnò soddisfazioni e benessere ma soprattutto tanta felicità al pensiero
di lasciare dietro di sè un'opera con il suo nome, utile alle generazioni
future.
(tratto da: " Un ponte sull'Arno fatto da un uomo solo " di M.Chiappelli e
G.Kent - Selezione
dal Reader's Digest)